Ufficialmente si chiama “Raduno del terzo raggruppamento A.N.A.” ma gli alpini preferiscono l’appellativo di “adunata triveneto”, perché lo spirito che lo anima è lo stesso delle adunate nazionali. I numeri sono diversi dall’adunata nazionale ma quest’anno, a Vittorio Veneto, gli alpini del triveneto hanno battuto ogni record: circa 35.000 penne nere provenienti dal Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige, nei luoghi dove cent’anni fa gli Italiani dettero la spallata decisiva all’esercito austroungarico e tedesco che portò poi alla fine della prima guerra mondiale e al compimento dell’unificazione d’Italia. E numeroso anche il pubblico lungo il corso della sfilata ma anche nei giorni precedenti, partecipante alle numerose cerimonie e commemorazioni.
Le date del raduno triveneto non sono state scelte a caso: 15, 16 e 17 giugno, con l’intento di rievocare la “battaglia del solstizio” o “seconda battaglia del Piave” svoltasi, appunto, a metà giugno di cent’anni fa, in quei luoghi lungo il corso in pianura del Piave (i punti principali di attraversamento del Piave da parte dell’Esercito Italiano furono quelli di Falzè, Nervesa, villa Jacur, Tezze, Cimadolmo, Salettuol, Candelù, Saletto di Piave, Fagarè, Zenson e San Donà di Piave), anche se l’offensiva si snodò anche sul Monte Grappa e sull’altopiano di Asiago. E poi era doveroso commemorare l’asso dell’Aviazione Italiana, il maggiore Francesco Baracca, abbattuto con il suo aereo sul Montello il 19 giugno 1918.
Incantevole cittadina Vittorio Veneto, ai piedi delle prealpi bellunesi. L’architettura spazia dal medievale castello di Serravalle ai palazzi patrizi in stile rinascimentale, con pareti affrescate, bifore e piccionaie, ora ristrutturati per mantenere la loro originaria bellezza. Eppure cent’anni fa, dopo Caporetto, quelle terre rigogliose furono occupate dall’esercito nemico, saccheggiate, sfruttate e la popolazione resa allo stremo dalla fame e dalle violenze perpetrate dagli invasori. Ma dopo cent’anni è giusto commemorare senza recriminare su quello che fu, per poter guardare avanti e costruire un mondo migliore, in un tempo in cui mancano purtroppo molti ideali, tra i quali l’amore verso la propria Patria. E gli alpini hanno questo onere che sanno trasformare in onore.
La sezione di Vicenza ha partecipato a tutte le cerimonie, a partire dall’apposizione della sua “foglia” nell’albero metallico che nel Bosco delle Penne Mozze a Cison di Valmarino ricorda i Caduti di tutte le sezioni d’Italia.
La sfilata è il momento clou delle adunate e la sezione, carica di orgoglio, ha partecipato compatta ed in ordine, con il Consiglio Direttivo sezionale al completo, 120 gagliardetti, circa 1.600 soci con altrettanti accompagnatori, famigliari e amici, e la sua fanfara storica. Inoltre la sezione ha aperto la sua sfilata, durata circa 20 minuti davanti alla tribuna d’onore, con la “Lampada votiva della Pace”, simbolo scelto dalla “Monte Pasubio” per le commemorazioni del centenario, partita il giorno precedente dal Bosco delle Penne Mozze, sorretta a spalla dagli alpini della sezione coadiuvati dai “Giovani 1919”, rafforzando con il suo pellegrinaggio il messaggio di pace e di amore che il raduno ha voluto dare: perché la sfilata non è un modo di apparire, ma un modo d’essere: passano gli anni, aumentano gli acciacchi, ma costi quel che costi, sotto il sole cocente o la pioggia battente, gli alpini con orgoglio immutato partecipano a questi momenti di grande festa, di aggregazione e di ricordo. E sopra le nostre teste, volava una riproduzione del mitico SPAD SXIII del maggiore Baracca, con il Suo simbolo, il cavallino nero rampante, destinato a diventare una delle insegne più care agli Italiani, come il cappello alpino.